Tra gli strumenti utilizzabili dai datori di lavoro da cui possa derivare una forma di controllo a distanza dei lavoratori, l’installazione di telecamere all’interno dei locali aziendali rappresenta, probabilmente, la pratica più diffusa. È quindi utile chiarire quali siano le condizioni da rispettare e le conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle procedure prescritte dalla legge.

La materia è regolata dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (la L. 300/70), disposizione che, a seguito delle modifiche introdotte dal DLgs. 151/2015, stabilisce che i datori di lavoro possono utilizzare strumenti da cui derivi la possibilità di controllare a distanza l’attività dei lavoratori – compresi, quindi, gli impianti di videosorveglianza – quando l’impiego di tali dispositivi sia finalizzato a soddisfare esigenze organizzative e produttive, di sicurezza del lavoro oppure di tutela del patrimonio aziendale. L’installazione di tali impianti, precisa la norma, deve però essere obbligatoriamente preceduta dall’accordo collettivo con le organizzazioni sindacali o, in mancanza, dall’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro. Ai lavoratori deve, inoltre, essere data adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli.

Il datore di lavoro che abbia installato le telecamere in difetto del predetto accordo sindacale o, comunque, della autorizzazione amministrativa, è responsabile penalmente, con conseguente applicabilità delle sanzioni di cui all’art. 38 della L. 300/70.

A tal proposito si rileva che l’eventuale consenso prestato da parte di tutti i lavoratori all’installazione delle telecamere è del tutto ininfluente: la Cassazione ha, infatti, più volte precisato (da ultimo con le sentenze nn. 50919/2019 e 1733/2020) che il consenso dei dipendenti all’installazione di telecamere in azienda non ha alcuna rilevanza scriminante, non potendo in alcun modo escludere la rilevanza penale del comportamento datoriale posto in essere in violazione delle prescrizioni di cui al citato art. 4 (si veda “Il consenso dei lavoratori non basta per installare telecamere in azienda” del 18 dicembre 2019). È, del resto, irrilevante il fatto che le telecamere installate non siano ancora funzionanti, essendo sempre necessario il raggiungimento dell’accordo con le organizzazioni sindacali o l’ottenimento dell’autorizzazione dell’Ispettorato.

Pertanto, in caso di inosservanza della procedura di cui all’art. 4 della L. 300/70, si realizza un’ipotesi di reato e le sanzioni applicabili saranno l’ammenda da 154 a 1.549 euro (elevabile fino al quintuplo in base alle condizioni del reo) o l’arresto da 15 giorni a un anno e, nei casi più gravi, l’ammenda e l’arresto applicati congiuntamente.

In materia, a livello comunitario, si evidenzia un’apertura verso l’installazione di telecamere occulte, quindi all’insaputa dei lavoratori, nei casi in cui il datore di lavoro abbia il fondato timore che all’interno della sua azienda siano stati commessi furti o, comunque, fatti illeciti, a seguito della pronuncia da parte della Corte europea dei Diritti dell’Uomo della sentenza del 17 ottobre 2019 sui ricorsi nn. 1874/13 e 8567/13, con cui è stata ammessa la videosorveglianza occulta quale extrema ratio, a fronte di “gravi illeciti e con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore”, come dichiarato dal Presidente del Garante per la privacy in un comunicato stampa del 17 ottobre scorso.Nella giurisprudenza comunitaria videosorveglianza occulta extrema ratio

Nel caso su cui si è pronunciata la Corte europea, le riprese erano state realizzate con modalità non invasive e rispettose della privacy dei lavoratori. Avendo il datore di lavoro notato una serie di ammanchi nel proprio supermercato, lo stesso aveva installato le telecamere al fine di verificare la commissione di furti da parte dei dipendenti, le quali avevano avuto un raggio di ripresa circoscritto nello spazio e nel tempo e le cui riprese erano state visionate da un numero ristretto di persone, al solo fine di provare i furti commessi.

Tale impostazione, secondo cui sono da ammettersi i controlli c.d. difensivi anche senza accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato, era stata seguita anche da un risalente orientamento della giurisprudenza di legittimità formatosi con riferimento al precedente testo dell’art. 4 della L. 300/70, il quale ne aveva affermato la non soggezione alle regole disposte da tale norma di legge (cfr. ex multis Cass. n. 10636/2017).

Alla luce della nuova formulazione della disposizione in questione dello Statuto dei lavoratori, però, deve ritenersi che nel nostro ordinamento non siano ammissibili tali forme di controllo occulto, anche in presenza di forti timori da parte degli imprenditori circa la commissione di reati da parte dei propri dipendenti all’interno dei locali aziendali. Infatti, come visto, tra le esigenze da soddisfare ai fini dell’utilizzo degli strumenti da cui derivi un controllo a distanza dei dipendenti rientra la tutela del patrimonio aziendale, cosicché il preventivo accordo sindacale o l’autorizzazione da parte dell’Ispettorato del lavoro sono condizioni imprescindibili anche qualora il datore di lavoro sospetti che all’interno dell’azienda vengano commessi fatti illeciti in danno della sua attività.

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