Gli ultimi mesi dell’anno sono storicamente dedicati alle attività di pianificazione economica e finanziaria per le imprese, relativamente all’esercizio successivo.

Il “piano industriale”, “piano d’impresa” o più comunemente business plan, viene difatti stilato in questi periodi, per dar modo alle aziende di iniziare il nuovo esercizio con idee un po’ più “chiare” da tutti i punti di vista… ma è davvero sempre così ? Effettivamente le imprese redigono regolarmente un piano d’impresa ? O forse viene fatto solo per svolgere una formalità nei confronti di banche o azionisti ? Oppure è uno strumento usato solo in casi specifici (cessione ramo d’azienda, ristrutturazioni…) ? Facciamo un punto della situazione su questo argomento.

Le statistiche ci indicano che il piano d’impresa viene redatto solo da una ristretta cerchia di imprese, per lo più medio/grandi. Nelle aziende medio-piccole esso è, in effetti, solo nella mente dell’imprenditore, con tutti i limiti che ne possono poi derivare. In effetti il business plan è ritenuto uno strumento necessario solo in caso di grossi business. Anche le piccole e medie aziende che praticano controllo di gestione non sempre redigono un piano d’impresa e le attività di pianificazione spesso sono solo di carattere economico-finanziario, ossia solo “numeriche”. È ovvio di come i soli dati quantitativi, non suffragati da dati qualitativi, ben difficilmente possono essere ritenuti “oggettivamente” verosimili. Facciamo un esempio: supponiamo che una azienda abbia avuto, nell’ultimo triennio, un leggero e costante calo di fatturato. Il management, in sede di pianificazione economico-finanziaria per gli anni successivi, si troverà quindi ad affrontare una domanda cruciale, ossia quali dati di vendita previsionali imputare per gli esercizi futuri e, implicitamente, “cosa fare” dal punto di vista strategico. Le strade sono tre: lasciare le vendite stabili avute nell’ultimo anno, aumentare le vendite, diminuire le vendite.

Guardando la tendenza dell’ultimo triennio sembrerebbe opportuno optare per l’ultima soluzione ma così facendo si corre il rischio di non avere le giuste quadrature contabili, sia economiche che finanziarie. Inoltre gli istituti di credito, una volta visionati i prospetti previsionali, potrebbero obiettare relativamente alla staticità di gestione con il rischio di un preallarme. Se invece si dovesse optare per la prima o la seconda soluzione, senza indicare nessuna attività differenziale a suffragio dei dati, gli stessi verrebbero ritenuti non attendibili e tutta la documentazione scartata a priori. Sarebbe quindi opportuno documentare “adeguatamente” i valori previsionali con argomentazioni oggettive. Ma anche in caso di conferma di un calo delle vendite dovremmo chiarire in quale modo portare l’azienda almeno al punto di pareggio, senza avere peggioramenti sull’aspetto finanziario, o, quanto meno, come far fronte ai nuovi fabbisogni. Successivamente dovremo anche chiarire con quali modalità ed attraverso quali leve, nel tempo, riportare l’impresa ad una situazione di redditività.

Le cose non sono molto dissimili per imprese che hanno una stagnazione delle vendite o per quelle che si trovano in una fase di espansione. In ambedue i casi quasi certamente si tratterà di investire danaro. Nel primo caso si tratterà di investire in ricerca e sviluppo, nel secondo quasi certamente nel magazzino o con una maggiore esposizione con i clienti.

È quindi fin troppo evidente di come un business plan possa essere uno strumento indispensabile e per tutte le situazioni.

Uno scopo spesso trascurato, per il quale la redazione di un piano industriale risulti utile per l’impresa, è quello che obbliga il management a riflettere sulle situazioni, coinvolgendo tutto lo staff direttivo. Troppo spesso, difatti, la gestione d’impresa diventa routine quotidiana e limitata ai problemi del momento, senza porre un minimo sguardo al futuro ed alle attività strategiche da porre in atto, pianificandole. 

Si è anche dibattuto abbastanza sul volume di affari per cui è necessario costruire dei business plan. Partendo dal presupposto che il piano industriale è uno strumento di pianificazione (e successivamente di controllo) in realtà non esiste un minimo legato al fatturato. Si tratta per lo più di poter ammortizzarne il relativo costo (personale impiegatizio, consulenza, software…). Ad esempio per imprese che fatturano oltre i tre milioni di euro tale attività potrebbe essere seriamente presa in considerazione.

A questo punto è necessario definire, fin dove possibile, delle linee guida per stilare un piano d’impresa.

Il business plan è lo strumento che permette, alla nave azienda, di navigare con rotte definite e su acque ragionevolmente sicure, senza di esso l’impresa si troverebbe infatti ad essere in balìa delle onde, senza una mappa che indichi dove navigare e senza un timone che permetta la svolta in caso di intemperie. Occorre specificare che il business plan non è un documento previsionale ma piuttosto una dichiarazione d’intenti, ossia una definizione di obiettivi ed una pianificazione di attività, incluse le relative responsabilità, e le scadenze per il raggiungimento di essi. Il business plan è, quindi, ragionevolmente, un insieme di linee guida da condividere con i vari responsabili, dato che ciascuno avrà specifiche attività (sottobiettivi) da portare a termine. Il documento contiene una pianificazione almeno triennale. Il primo anno sarà dettagliato ed includerà aspetti economico-finanziari di breve ed una pianificazione temporale delle attività, mentre gli anni successivi saranno utili per indicare le strategie di medio/lungo periodo ed eventuali nuovi investimenti da porre in essere. Un buon piano aziendale è strutturato secondo tre parti:

1.   Una parte introduttiva e riepilogativa relativamente ai contenuti, la strategia proposta, un riepilogo dei principali indici finanziari attesi. Eventuali strategie diversificate per Business Unit (canali di business);

2.   L’Action Plan (piano delle azioni), ossia le attività da svolgere, le tempistiche e le relative responsabilità, l’impatto economico, finanziario ed organizzativo relativamente alle azioni proposte. Eventuali investimenti e modalità di rimborso. Descrivere poi le condizioni di mercato e quelle interne;

3.   Una sezione che contenga tutti i prospetti economici, finanziari e patrimoniali previsionali relativi alle decisioni ed alle attività intraprese. In questo contesto è necessario indicare la cosiddetta “analisi di sensitività”, rispetto alle principali variabili qualitative e quantitative, che possono incidere nella realizzazione degli obiettivi, indicando quali di essi ed in che modo sono ritenuti strategicamente fondamentali per la corretta riuscita del piano. Questa parte del documento dovrebbe includere anche prospetti riepilogativi ed un confronto con i valori storici.

Infine è auspicabile che esso contenga sempre un “piano B” per dare maggiore garanzia di riuscita: in tal caso l’attenzione del piano alternativo va focalizzata su quelle variabili vincolanti nel contesto di sensitività analizzato. Va da sé che nell’ambito delle strategie proposte vengono presi in esame i punti di forza ed i punti deboli dell’impresa, le opportunità e le minacce sul mercato, per tali motivi si ritiene opportuno integrare il piano con una esaustiva analisi SWOT ed una analisi dei principali fattori critici di successo (FCS).

Infine un buon piano d’impresa non deve essere troppo prolisso, non più lungo di 40 pagine ed indica cose realizzabili, in modo chiaro e sintetico. Un approfondimento dei vari argomenti è indicato sono nel caso di attività critiche, vincolanti o aventi indici elevati di sensitività.

È infine buona norma, per un consulto veloce, dare enfasi alle parti più importanti evidenziandole.

Fonte: