Pronta la stretta ai furbetti delle case vacanze che non pagano le tasse (cedolare secca al 21% e imposta di soggiorno). Ora il giro di vite è pronto e si materializza in un emendamento al decreto crescita della maggioranza che introduce l’obbligo di un codice unico identificativo per ogni struttura ricettiva, comprese le case vacanze da inserire in una banca dati. I Comuni potranno poi verificare le presenze dei turisti attraverso i dati forniti per la pubblica sicurezza per combattere l’evasione della tassa di soggiorno. Infine la stretta colpisce anche le piattaforme on line come Airbnb che non potranno più rifiutarsi di raccogliere la cedolare secca
Case vacanze e affitti online: entro l’estate codice anti-furbetti in tutta Italia
«Basta praterie»: Il ministro del Turismo Gian Marco Centinaio lo aveva promesso già un anno fa. Ora quella promessa si materializza in un emendamento firmato dai due relatori Raphael Raduzzi (M5S) e Giulio Centemero (Lega) al decreto crescita all’esame della Camera che dovrebbe essere approvato nei prossimi giorni. La modifica introduce innanzitutto l’obbligo di un codice unico per identificare tutte le strutture ricettive, comprese le case vacanze che sarà inserito in una banca dati da attivare presso il ministero del Turismo e delle Politiche agricole (un decreto attuativo entro 30 giorni dovrà definire le modalità). Una banca dati questa a cui potrà accedere anche l’Agenzia delle Entrate. L’obiettivo infatti è quello di stanare i furbetti delle case vacanze che non pagano al fisco il dovuto (la cedolare secca al 21%). I proprietari delle strutture, ma anche chi fa da intermediario comprese le piattaforme on line come Airbnb che non pubblicheranno il codice di identificazione – che viene già utilizzato da alcune Regioni come la Lombardia e la Toscana – rischiano una multa da 500 a 5000 euro.
Stop ai «furbetti» degli affitti brevi: Airbnb dovrà riscuotere la cedolare
La lotta all’evasione passa anche per i maggiori controlli sulla tassa di soggiorno. I dati delle comunicazioni trasmessi dalle strutture ricettive per la pubblica sicurezza saranno resi disponibili per l’Agenzia delle entrate, in forma anonima e aggregata. La stessa Agenzia ne consentirà il successivo utilizzo ai Comuni che hanno istituito l’imposta di soggiorno e il contributo di soggiorno. Ma c’è un altro giro di vite che colpisce direttamente le piattaforme on line come Airbnb che solo in Italia conta oltre 214mila case e l’anno scorso ha fatto registrare 3,7 milioni di arrivi. Per quanto riguarda la raccolta della cedolare secca sulle locazioni brevi – che Airbnb si è sempre rifiutata di effettuare perché non si considera un sostituto d’imposta – si sancisce fiscalmente (in assenza della nomina di un rappresentante fiscale) la responsabilità in solido del soggetto residente nel territorio italiano facente parte dello stesso gruppo degli esercenti di attività di intermediazione immobiliare tramite portali telematici (in pratica sarà responsabile la società in Italia che appartiene al gruppo). Nei mesi scorsi tra l’altro dopo una lunga battaglia il Tar del Lazio con la sentenza n. 2207/2019 ha respinto le richieste di Airbnb che finora si era rifiutata di riscuotere la cedolare secca. Una sentenza contro la quale Airbnb ha fatto ricorso al Consiglio di Stato.
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